IN UN ALTRO TEMPO IN UN ALTRO SPAZIO SPAZIO
The wind of change

di Domy


“Grazie mille, Bretagna!”.
Quanto tempo era passato da quando non si sentiva chiamare per nome…soprattutto, quanto tempo era passato da quando qualcuno gli aveva detto “grazie”…

Jet e Bretagna avevano oltrepassato la barriera luminosa che separava una dimensione dall’altra già da alcuni giorni e avevano ripreso come sempre la loro vita; quell’esperienza di contatto con i loro alter ego e quelli dei loro amici, a quanto pareva, aveva lasciato molti più strascichi nell’altra dimensione che nella loro: in Olivia, che si era ritrovata inspiegabilmente a dare fiducia ad Albert Heinrich, dopo aver assistito alla scena di Joe Shimamura che tentava di salvare la vita ai suoi avversari e aver visto un Gilmore pentito confrontarsi con il “mostro” che aveva arrestato; in Jet, che si era avvicinato alla “sua” Hilda al di là di ogni previsione, pur sapendo che il suo alter ego era legato da profonda amicizia al fidanzato di Hilda, da lui fino ad allora soprannominato “il morto” o “il fantasma”; in Hilda, sempre più attratta da Jet ma incapace di dimenticare Albert; infine, in Bretagna, il cyborg 009 che era rimasto con i Black Ghost, dal momento che la fuga dei cyborg della serie 00 non era stata programmata da Gilmore. Soprattutto quest’ultimo, benché cercasse invano di non pensarci, era stato scosso dagli ultimi eventi: non era stato tanto lo scontro con “se stesso”, o meglio, non solo…quanto piuttosto l’inspiegabile gesto che aveva fatto subito dopo: aveva abbattuto il robot che stava per crivellare quella ragazza di colpi sotto lo sguardo impotente del suo amico di colore; era una nemica e le aveva salvato la vita, anziché far completare all’automa il suo lavoro e contemporaneamente eliminare lui stesso l’altro inutile cyborg. E lei gli aveva sorriso e lo aveva ringraziato, chiamandolo per nome…è vero, la ragazza pensava di avere di fronte “l’idiota”, quel suo alter ego così diverso da lui, eppure… quella cosa lo aveva mandato in tilt, aveva scardinato le poche certezze che si era faticosamente costruito andando contro la sua stessa natura.
Si chiuse nella sua stanza spoglia. Una stanza casualmente o volutamente priva di identità, come era lui adesso.
Ripensò al suo alter ego.
– Non è possibile che, in un’altra dimensione, io possa essere un simile deficiente! – gli vennero in mente le battute di 007, quel suo scherzare in modo leggero anche in una situazione estrema e le ridicole trasformazioni con cui si era sottratto ai suoi attacchi mortali: quel tale aveva avuto quasi il suo stesso vissuto, ma era una persona serena, capace di ridere, di provare dei sentimenti. Riflettendoci meglio: era poi così diverso? Perché, probabilmente, quel fastidioso individuo era molto più vicino a com’era lui un tempo di quanto non lo fosse se stesso in quel momento.
Perché quel tale era piombato nella sua vita a ricordargli che poteva tornare a essere come un tempo anche con un corpo da cyborg?
Alzò gli occhi e vide la sua immagine riflessa nel piccolo specchio che teneva appoggiato accanto al letto: gli sembrò di incrociare lo sguardo di uno sconosciuto. In un moto di rabbia scagliò a terra l’oggetto, che andò in frantumi e si vendicò restituendogli mille immagini deformate del suo viso.
“ Cosa diavolo sono diventato?”
Quella ragazza…per un istante, salvandola, gli era parso di salvare se stesso. Era così bella e leggera…gli ricordava la ballerina di carta della favola di Andersen.

Bretagna uscì dalla stanza dopo un tempo indefinibile. Nel corridoio incrociò X12.
– Ciao, 009. Ancora irritato per esserti fatto salvare da quel tizio dell’altra dimensione? – X12 sorrideva compiaciuto dell’episodio accaduto; in realtà egli sarebbe stato molto più felice se Joe Shimamura avesse sferrato il suo colpo mortale, togliendogli dai piedi uno dei pochi cyborg in grado di metterlo in ombra con i vertici dell’organizzazione.
La cosa che più lo irritava era che il killer prediletto dei Black Ghost fosse una semplice cavia, un soggetto da due soldi raccattato all’esterno di un pub in stato di ubriachezza, non si sa come sopravvissuto a un intervento in fase di sperimentazione (ma si sa, il compianto Gilmore faceva miracoli!), mentre lui, addestrato con consapevolezza, pieno di ambizioni e volontariamente prestatosi alla trasformazione in cyborg, non riusciva minimamente a surclassarlo.
- E tu che diavolo ne sai? – rispose 009, alquanto seccato.
- Sai, com’è… le telecamere di sorveglianza hanno gli occhi lunghi! – 
- Quel bastardo di 008 mi ha colto di sorpresa e poi sono arrivati gli altri: non potevo farcela contro tre di loro più un mutaforma! –
- Questo è vero: in certi casi è meglio ritirarsi… e tu sei un maestro nell’arte della fuga! – Bretagna strinse i pugni: si sarebbe volentieri trasformato in un pitone gigante per stritolarlo!
- Stai pur certo che avrò modo di rifarmi! – concluse con un sorriso sarcastico, dimostrando a se stesso di non aver dimenticato come si recita. Voltò le spalle al suo rivale, che però lo trattenne con un’altra battuta.
- A proposito delle telecamere… ne sai niente del cyborg 003? Pare che sia stata salvata dal tuo alter ego…- Bretagna si paralizzò, ma cercò di mantenere la calma.
- Cosa vuoi che mi interessi di quello che ha fatto quel tizio? –
- E’ che, personalmente, mi è venuto un certo dubbio…-
- Stai insinuando qualcosa? – 
- No, cosa ti viene in mente? Solo che il tuo alter ego deve avere il potere della bilocazione! –
- Le telecamere avranno anche gli occhi lunghi, ma dimentichi che quei ribelli li hanno semiaccecati! I filmati non sono del tutto affidabili, quando l’intero sistema salta in aria. E comunque non perderei mai del tempo per salvare una traditrice dell’organizzazione! – era successo: quel gesto del quale continuava a non comprendere il senso lo stava mettendo già in pericolo. Passò oltre, senza voltarsi più verso X12.

Quel giorno 009 era uscito in abiti “civili”; non era una cosa strana, anche se lui non lo faceva spesso: dopotutto non era certo un prigioniero! La sua vita era volontariamente confinata al lavoro per i Black Ghost, che perseguiva annullando completamente la sua capacità di pensare. Dall’incontro con il suo alter ego, invece, aveva ripreso purtroppo questa “cattiva abitudine”: se ne era accorto perché non riusciva a provare la stessa rabbia di pochi giorni prima o, almeno, non era rivolta contro l’umanità quanto piuttosto verso se stesso; il vero problema era che la rabbia fungeva da “anestetico” e, adesso che si diradava come un banco di nebbia, stava venendo sostituita da un odioso senso di dolore.
Guardò il piccolo schermo che teneva nascosto in tasca. Quella era la seconda sciocchezza che faceva dopo il salvataggio di 003: nessuno sapeva che, mentre il gruppo di ribelli lasciava la base devastata, lui era riuscito, con uno dei suoi trucchi, ad avvicinarsi al Dolphin e a piazzarvi una microspia. Adesso sapeva esattamente dove si trovava la base dei nemici dell’organizzazione, cosa che, rivelata ai suoi capi, gli sarebbe valsa una medaglia, ma che, tenuta nascosta, poteva significare la morte immediata. Lo aveva fatto solo per sé. Aveva deciso di “studiare” quei ribelli di nascosto per capire. Capire per quale motivo l’altro se stesso fosse così in confidenza con loro e perché si preoccupasse di salvarli se veniva addirittura da un altro mondo.
I giorni precedenti si era appostato con cautela presso la loro abitazione, trasformandosi ora in un corvo, ora mimetizzandosi con l’ambiente come un camaleonte: non si era mai avvicinato troppo, ma era rimasto impressionato dal tipo di vita che facevano: alle volte sembravano degli studenti al college! Adesso aveva deciso di osservarli più da vicino: aveva saputo che quel pomeriggio Joe, Jet e Francoise sarebbero usciti insieme per un giro e per bere qualcosa. Cambiando i lineamenti del viso, aveva preso posto a un tavolino poco distante. Loro tre chiacchieravano del più e del meno; ogni tanto ridevano per qualcosa che diceva Jet; la ragazza sembrava avere familiarità con entrambi, ma con Joe aveva un rapporto “particolare”…lo fissava con una dolcezza e una confidenza che non  aveva con l’altro. 009 si sorprese a invidiarlo. Improvvisamente la ragazza si alzò dirigendosi verso la toilette e, con la borsetta, fece inavvertitamente cadere il portatovaglioli da un tavolo; istintivamente, Bretagna si chinò con lei per aiutarla e, per un attimo, i loro sguardi si incrociarono. Sul viso della ragazza si dipinse prima uno sguardo interrogativo, poi preoccupato: aveva visto “qualcosa”, ma cosa? Lo aveva riconosciuto? E in che modo? Lei ringraziò, poi tornò verso gli altri; disse loro alcune parole e, con finta indifferenza, uscirono dal locale. Lentamente, anche 009 fece altrettanto, ma, quando si affacciò all’esterno, i tre erano scomparsi. In quel momento comprese che, nonostante tutto, non abbassavano mai la guardia.

L’attacco al cuore della loro base e il “furto” di una macchina che prometteva grossi sviluppi all’organizzazione non era andata giù ai vertici dei Black Ghost; naturalmente c’era di mezzo anche qualcuno dell’FBI, qualcuno che l’avrebbe pagata cara, ma in quel momento il vero problema che si era ripresentato era la squadra dei cyborg ribelli: erano scomparsi tempo prima dopo aver avuto la peggio in uno scontro e non erano stati più considerati una minaccia, quanto piuttosto un piccolo “conto” da regolare al momento opportuno, se non altro per dimostrare che nessuno sfuggiva alla loro lunga mano e per recuperare in parte la tecnologia investita in quelle miserabili cavie.
Fu allo scopo di rintracciare i rinnegati che quella mattina Y2, il coordinatore della base, aveva convocato il cyborg 009. Era stato X12 che, con grande zelo, aveva ricordato l’abilità del suo “collega” nel portare avanti missioni di spionaggio da concludere con l’eliminazione fisica del nemico. 009 aveva già svolto parecchi lavori in modo rapido e “pulito”, sempre efficace.
Appena Bretagna seppe della missione che gli era stata affidata e di chi aveva fatto pressione affinché avesse l’incarico, si sarebbe volentieri tirato indietro, ma non poteva assolutamente farlo; non ci voleva un’intelligenza superiore per capire che X12 aveva intuito qualcosa e ne avrebbe approfittato per metterlo in cattiva luce o addirittura per farlo fuori. Inoltre, essendo parte attiva dell’operazione (anche X12 con altri uomini avrebbe partecipato, se pure nelle retrovie), era stato messo al corrente circa le indagini che da un bel po’ i Black Ghost conducevano per rintracciare la squadra 00: esistevano diversi tabulati che riportavano gli ultimi avvistamenti di vari membri del gruppo in determinate aree: non sarebbe passato molto tempo e avrebbero identificato anche da soli il loro nascondiglio.
Era il momento di prendere una decisione, ma quale? Proteggere quella manciata di sprovveduti, passando di fatto dalla loro parte, o continuare a fare ciò che aveva sempre fatto dal giorno della sua trasformazione? All’inizio si limitò a pedinare i pedinatori; si rese conto che i cyborg 00 non si facevano individuare facilmente e avevano l’abitudine di sparire in fretta facendo perdere le loro tracce esattamente come era avvenuto con lui quella volta al locale.
Le ricerche dei Black Ghost si intensificarono nei giorni successivi. Così, quando qualche tempo dopo Bretagna si rese conto che quattro dei “suoi” erano pericolosamente vicini alla base dei “traditori”, fece la sua scelta, ovvero: distruggerli fisicamente. Non volle usare i suoi poteri, qualora avesse lasciato inavvertitamente delle tracce; si limitò “semplicemente” a sparare un colpo in fronte all’autista per far comodamente schiantare l’auto contro un platano.
Il rumore non mancò di attirare l’attenzione di Francoise, Joe e Geronimo, che si precipitarono in soccorso dell’automobile, salvo verificare il buco nella testa del conducente; in quel preciso istante, una seconda macchina li raggiunse, sterzò di colpo e i tre occupanti aprirono il fuoco: evidentemente erano convinti che i loro amici si fossero fatti sorprendere nel tallonamento e ne avessero pagato le conseguenze; comunque, alle impreparate spie non venne in mente di proseguire il lavoro di pedinamento, ma di vendicare i compari portando ai capi  almeno un trofeo. Sotto la pioggia di proiettili, il primo istinto di Joe fu quello di proteggere Francoise; Geronimo si spostò minaccioso verso gli attaccanti, incurante del fatto che quelle pallottole gli stessero procurando piccole ma fastidiose ferite; non fece in tempo a percorrere un metro, che gli assalitori caddero a terra, colpiti ciascuno da un proiettile sparato dall’alto proprio al centro del cranio. 005 alzò la testa e in quel momento il misterioso cecchino si fece individuare, apparendo come una macchia di colore dal fogliame verde.
- 009?! – sibilò Joe, riconoscendolo subito.
– Ciao, 008! – rispose lui, senza togliersi dal viso l’espressione cattiva e ironica del giorno del loro primo incontro – Sai, ti sembrerà strano, ma stavo valutando l’ipotesi di cambiare schieramento! –
I tre amici erano stupiti e alquanto turbati dall’ affermazione di quel salvatore inaspettato; non sapevano che pensare: poteva essere un’abile manovra dei nemici per conquistare la loro fiducia (dopotutto sacrificare la vita di qualche subordinato per raggiungere uno scopo più importante era una prassi normale, per i Black Ghost), oppure quel tale poteva dire il vero e costituire l’elemento mancante della loro squadra, come aveva “profetizzato” il Bretagna dell’altra dimensione. Certo era che quella persona aveva delle caratteristiche inquietanti…
Prima che Geronimo, Joe e Francoise finissero di consultarsi, fu lo stesso 009 a rivelare di conoscere perfettamente il luogo della loro abitazione, per dimostrare che, se fosse stato in malafede, sarebbero già stati attaccati. A quel punto Joe, convinto dagli altri due, si decise a portarlo con loro. Inutile dire la reazione degli altri: se Pumna e Chang la presero in modo poco convinto ma disponibile, lo stesso non poteva dirsi di Jet e, soprattutto, di Hilda, che aveva ancora ben vivo nella mente l’ultimo incontro col cyborg; si ammorbidì solo con le parole di 001:
- Non avverto menzogna in lui, ma molta confusione. Ci sono cose che non riesco, per ora a decifrare, ma ritengo sia più ragionevole accoglierlo, se non altro per controllarlo. –
Così Bretagna entrò nella vita di quelli che erano stati fino a quel momento i suoi nemici. Non sapeva se avesse fatto la cosa giusta, se sarebbe tornato indietro… ma lo aveva fatto. Tuttavia, tenne a specificare di non voler assolutamente “accodarsi” a loro: si sarebbe trattenuto solo un breve periodo, per far calmare le acque dopo la sua sparizione e decidere dove andare dopo.

Walther Bishop sarebbe arrivato quel pomeriggio accompagnato da Olivia; lo attendevano ormai da giorni perché, a quanto pare, oltre a dover sbrigare affari urgenti per l’FBI, non era una persona semplice da spostare; avrebbe curato il braccio di Pumna, da tempo ridotto all’immobilità, e si sarebbe trattenuto giusto il necessario per attrezzare un laboratorio che i cyborg avrebbero potuto utilizzare anche in maniera autonoma per effettuare piccole riparazioni; per i casi più gravi avrebbero raggiunto il professore a Boston, ma quell’aiuto, in quel momento, era per loro fondamentale.
Joe andò con la macchina a prenderli all’aeroporto.
Bishop entrò nella casa e, senza neanche presentarsi, chiese subito dov’era il suo laboratorio. Dietro di lui c’era un bel giovane, che portava i bagagli suoi e dello scienziato.
- Salve, sono Peter Bishop, il figlio di Walther, e faccio parte del “pacchetto”! –
Jet diede una gomitata a Francoise – Carino, vero? Adatto a una single come te! –
La ragazza sbuffò, imbarazzata – Scemo! – rispose all’amico, facendogli una linguaccia.
In un angolo del soggiorno Bretagna osservava tutto ciò che lo circondava con la stessa espressione assorta e silenziosa di un documentarista. Quando Olivia si guardò intorno per salutare gli altri e presentarsi a chi non la conosceva, incrociò lo sguardo di 009 e non ci mise molto a capire che non veniva dall’altra dimensione! Superato lo choc iniziale, divenne agitata e arrabbiata come Joe mai l’aveva vista. Trascinò il ragazzo in una stanza per parlargli, sperando di non essere spiata.
- Quel cyborg è pericoloso. Non sai quanti dei miei uomini ha ucciso. Va eliminato! –
- Si, ma Francoise ci ha chiesto di dargli del tempo e un po’ di fiducia.–
- E tu sei d’accordo? Aspetti che si organizzi per portare a casa una delle vostre teste e rientrare nelle grazie dei suoi capi? –
- No. Lo sai che non sono un imprudente, però mi fido di Francoise: anche se la si potrebbe sottovalutare, è sicuramente la persona più intuitiva che conosco! D’altra parte, quel tizio ci ha aiutati per ben due volte…  –
Olivia sospirò.  – Come vuoi. Ultimamente ne ho viste tante e questo “tormentone della fiducia” sta diventando eccessivamente condizionante nella mia vita. Dopotutto è affar vostro. A me basta solo che non accada nulla a Walther e a suo figlio, siamo intesi? –

Francoise entrò in soggiorno, si avvicinò al tavolo e iniziò con cura a preparare il biberon per Ivan.. - Ma guarda, che perfetta mammina! – la voce di Bretagna, tra l’ironico e il canzonatorio, precedette di una manciata di secondi la sua materializzazione dalla parete della stanza.
- Non lo sai che apparire all’improvviso dal nulla non è esattamente il modo migliore per guadagnarsi la fiducia delle persone? – disse lei senza voltarsi e senza scomporsi minimamente.
- Sai com’è…l’abitudine è dura a morire! – rispose lui avvicinandosi al tavolo per prendere una mela dal cesto.
- Se lo avessi fatto a 008 ti avrebbe già ucciso! –
- Veramente mi avrebbe già ucciso la prima volta che ci siamo incontrati! Non dev’essere poi così duro, se si fa trattenere da una mezza cartuccia come il mio alter ego!-
- Dovresti solo ringraziarlo, il tuo alter ego, dal momento che ti ha salvato la vita! –
- Non è detto che questo sia un valido motivo per ringraziare qualcuno. – rispose cupo. Francoise lo guardò perplessa, poi continuò il suo lavoro, con aria noncurante.
- E poi non giudicare Joe troppo in fretta: non sai cosa è capace di fare per difenderci!-
- “Difendervi”? – 009 ridacchiò divertito – Non sapevo che un gigante alto più di due metri avesse bisogno di essere difeso da qualcuno! –
- Tutti abbiamo bisogno di essere difesi…di difenderci reciprocamente. Altrimenti saremmo già morti! – la ragazza puntualizzò, guardandolo per un istante - Ad ogni modo –continuò, cambiando argomento - sappi che avevo capito che eri qui appena sono entrata: anche se riesci a mimetizzarti con l’ambiente come un camaleonte, non puoi certo camuffare i tuoi circuiti interni! Ricorda che io riesco a vedere attraverso le cose. – Bretagna guardò la ragazza con una certa meraviglia: dunque aveva trovato, per la prima volta, qualcuno immune ai suoi “trucchetti”?
- Inoltre – continuò la ragazza – prima ancora di vederti, avevo sentito il tuo respiro nella stanza –
- Tu invece dovresti sapere che è molto molto pericoloso rivelare a un potenziale nemico i tuoi punti di forza! – ribattè l’altro sottovoce, facendosi vicinissimo al suo viso, come se avesse voluto in qualche modo intimidirla. Per tutta risposta, Francoise gli piantò negli occhi i suoi occhi azzurri e disse con sicurezza:
- Ma tu non sei un potenziale nemico. O almeno…sostieni di non volerlo essere. – quello sguardo diretto, per un istante lo fece quasi vacillare.
- Io …in realtà non so ancora cosa voglio essere. Quindi fai come dicono i tuoi amici e cerca di non fidarti troppo! – detto questo se ne andò, senza sapere nemmeno lui perché si era comportato in quel modo.
Francoise rimase sola. Portò il latte a Ivan e nel frattempo rifletteva: quell’uomo non assomigliava per niente al Bretagna che aveva conosciuto, per non parlare del suo modo di fare contraddittorio: si capiva che cercava di carpire la loro fiducia ma, al tempo stesso, cercava di allontanare da sé le persone appena gli aprivano uno spiraglio. Era come se…volesse metterli alla prova.
- Diamogli tempo – la voce di Ivan, che aveva letto i suoi pensieri, la riscosse di colpo - E’ solo confuso, ma penso che una parte di lui sia uguale alla persona che abbiamo conosciuto, perciò …diamogli tempo. -

Il tempo occorreva anche al dottor Bishop per attrezzare il suo laboratorio e per capire bene il funzionamento dei meccanismi di Pumna. Lo scienziato aveva, agli occhi di chi lo vedeva la prima volta, qualcosa di “fragile”: era come se il tempo gli servisse non tanto per ambientarsi fisicamente quanto mentalmente al nuovo posto e alla nuova situazione. L’adattamento mentale era la parte più dura, tanto più che Bishop soffriva di parecchie manie, simili a capricci di bambino, che Olivia assecondava con rassegnazione.
Erano passati già due giorni, ma il lavoro sembrava a buon punto. Per il resto tutto appariva tranquillo: dal giardino arrivava il suono delle cesoie di Chang che sforbiciava una pianta dal nome impronunciabile; Hilda e Joe aiutavano insieme a Peter il professore, mentre in soggiorno Geronimo intagliava un piccolo bisonte nel legno,  Pumna leggeva un libro e Jet ascoltava della musica con le cuffie standosene steso sul divano.
Tutto appariva tranquillo, tranne 009, che camminava su e giù guardando fuori dalle ampie finestre. - Amico, datti una calmata! – disse Pumna – Mi sembri un animale braccato e ti assicuro che di animali me ne intendo! –
- Può essere, ma a me sembra strano che siate voi così calmi! –
- Perché non dovremmo esserlo? – chiese Geronimo, sollevando gli occhi dal suo lavoro.
- Con l’intera organizzazione alle costole?! – ribattè Bretagna incredulo.
- Quando è il momento di combattere si combatte, quando è il momento di lavorare si lavora, quando è il momento di vivere si vive! – rispose l’indiano con un sorriso.
- Giusto! – continuò Pumna - Per noi avere a che fare con quella gente è scontato, fa parte della nostra esistenza: non per questo dobbiamo rinunciare a vivere! Se non riuscissimo neanche a goderci gli attimi di pace saremmo degli psicopatici che battono la testa al muro tutto il giorno! –
- …per non parlare dello spazio che occuperebbero in casa le casse con i tranquillanti! – disse Jet dal divano – quindi, bello, prenditi un libro e leggi, o esci a farti un giro…insomma fa quello che vuoi, basta che non rompi! -
Bretagna si fermò a guardarli: si rese conto che quello che lui non aveva non era solo la tranquillità, ma soprattutto la “normalità”: quella situazione lo confondeva e agitava perché era “normale” ed era trascorso un tempo infinito dall’ultima volta che aveva vissuto qualcosa del genere. Si chiese come avesse trascorso il tempo alla base dei Black Ghost  e realizzò con inquietudine di essersi comportato fino ad allora come un automa: portava a termine una missione e si rintanava nel suo angolo anonimo semplicemente staccando la spina, non pensando, trascorrendo le ore a fissare il muro o il soffitto, come se quelle pareti dovessero chiudere fuori se stresso e i suoi ricordi. Avvertì di nuovo una specie di fitta al cuore. Cercò di sedersi al tavolo, immaginando che cosa avrebbe potuto fare, quando all’improvviso gli si materializzò davanti una tazza di caffè fumante. Si voltò e incontrò gli occhi sorridenti di Francoise.
- Per te! – gli disse nel modo più naturale possibile.
- Grazie…- quel semplice gesto gli apparve come uno dei più grossi regali che potessero fargli – ma tu…ehm…non sei arrabbiata con me? –
- Perché, dovrei esserlo? – rispose lei facendo finta di niente e sedendosi accanto a lui con la sua tazza.
- Si – rispose Bretagna dopo una pausa, con un tono sinceramente mortificato che sembrava quasi non gli appartenesse – dovresti esserlo: io… diciamo che non sono stato molto gentile con te…-- Puoi sempre rimediare! – disse con un sorriso, che l’altro cercò di ricambiare.
- E come? –
- Per esempio…potresti accompagnarmi a fare un giro in città! Ho bisogno di alcune cose per Ivan e penso che gli altri non abbiano troppa voglia di seguirmi! – sulle facce dei presenti si dipinse un’espressione di stupore e preoccupazione: come le veniva in mente di andarsene in giro con quel tale che ancora non aveva superato “l’esame di ammissione”? Jet si alzò di scatto dal divano, pronto a rimediare la situazione:
- Veramente io potrei…- la mano possente di Geronimo lo ricacciò pesantemente sui cuscini, facendolo tacere.
- …Lui potrebbe preparare la cena stasera, se comprate qualcosa! – disse al posto dell’amico. Francoise sorrise divertita, mentre 009 li guardò perplesso.
- Bene! Faremo anche la spesa! Non ti dispiace, vero? –
- N…no.- disse senza avere il coraggio di ribattere.
Fu così che i due presero la macchina che veniva usata ora da uno ora dall’altro e si ritrovarono in giro per i negozi. Lei cercava di chiacchierare, ma, vedendo che lui era restio, non insistette troppo.
Nel supermercato Bretagna si sentiva come un alieno. Guardava la ragazza che si muoveva veloce tra gli scaffali e, contemporaneamente, si guardava intorno con la costante idea che, prima o poi, lo avrebbero trovato.
- Però è strano – la voce di Francoise interruppe di nuovo i suoi pensieri – il tuo alter ego era davvero un gran chiacchierone; tu, invece, non apri bocca! –
- Non ho molto da dire. E non paragonarmi continuamente a quel perfetto deficiente! –
- Te l’ho già detto: non parlarne male! Mi passi quattro di quei barattoli lassù? –
- Uh…certo. Guarda che l’ho capito, sai? –
- Capito cosa? –
- La montagna ambulante lo ha fatto di proposito a lasciarmi solo con te. – era evidente che si riferiva a Geronimo – perché tu sei, come dire…una specie di incrocio tra una spia e un assistente sociale: stai cercando di capire le mie intenzioni e di assicurarti che non sto ancora con i Black Ghost, giusto? - la ragazza distolse un attimo gli occhi  dagli scaffali e lo fissò un attimo con aria interrogativa prima di…scoppiare a ridere!
- Così io sarei un “assistente sociale”! Bè, ti assicuro che a casa nostra ce ne sarebbe bisogno, però poi diventerebbe matto! – 009 sbuffò e si girò dall’ altra parte.
- Senti – continuò lei – tu non prendi niente?  Insomma, a Jet piacciono le patatine fritte, a Joe questa salsa di soia, a me le fragole…a te cos’è che piace? –
“Cosa mi piace?” ogni domanda di quella ragazza riaccendeva una parte del suo animo, e ogni volta era doloroso.
- Cosa ti piace? –
- Mi piace… Shakespeare. – la risposta, partita in automatico dalla sua bocca, aveva un che di delirante detta in mezzo al reparto ortaggi. Invece il viso di Francoise parve illuminarsi. Sparì per un attimo alla vista dell’uomo, mollandogli il carrello della spesa e un minuto dopo gli presentò davanti al viso un grosso libro con le opere più celebri dello scrittore. Bretagna lo prese in silenzio tra le mani e restò a fissarlo per un tempo indefinibile.
“Quanto tempo è che non rido…che non piango…un tempo vivevo di tutto questo, delle emozioni dei personaggi che interpretavo…erano anche le mie. E adesso? Cosa ho fatto fino ad ora? Sarebbe stato meglio risvegliarsi da un coma!”.
Le parole del suo alter ego gli ronzavano continuamente nella testa: “potresti essere felice…se ridiventi umano”…

- Da quando sono arrivati qui quei due tizi dell’altra dimensione mi sembra come se qualcosa fosse stato spostato da un terremoto!- la Dunham faticava ancora a condividere gli spazi con quello che riteneva solo un assassino e adesso dava quasi la colpa alle sue stesse decisioni e agli eventi da esse provocati.
- Olivia, ti faccio presente che ce li hai spediti tu! – disse Hilda – A quale scopo, poi? Voglio dire, perché proprio loro due? – evidentemente il fatto che fossero cari amici di Albert l’aveva turbata non poco.
- Mi sembravano i più adatti… e poi pensavo che quello pelato sarebbe riuscito a uccidere 009! –
- Ah, immaginavi già il lieto fine! Invece, finale a sorpresa: “il pelato” gli ha salvato la vita e, sembra, lo abbia gettato in crisi esistenziale! –
- È’ stato lui a salvarlo? –
- Certamente: ha fermato 008 che stava per farlo fuori! Da quel momento questa casa è diventata la fiera dei buoni sentimenti! –
Joe stava seduto in silenzio con i gomiti appoggiati al tavolo e si passava nervosamente la mano nei capelli. Gli scappò una risatina: gli veniva sempre da ridere quando Hilda tirava fuori quel finto cinismo! Entrambe lo fulminarono con gli occhi. Facendo finta di niente, si decise ad aprire bocca:
- Per ora non possiamo ancora dire niente. Certo è che dobbiamo stare molto attenti. Io dovrò mancare due o tre giorni per un lavoro, ma oggi Bishop si è deciso a operare Pumna, quindi aspetterò che si riprenda dall’intervento. –
- Walther mi ha detto che il danno riguarda solo i circuiti, quindi basterà una semplice riparazione perché l’arto recuperi del tutto la sua funzionalità. – quelle parole, pronunciate in quel modo, infastidirono non poco 004.
- Già. È esattamente quello che ha detto il tecnico del frigorifero! – disse Hilda sarcastica.
- Non volevo offendere nessuno – rispose Olivia – ma è un dato di fatto che siete dotati di circuiti e che questi non “guariscono” ma si riparano! –
L’aumento della temperatura fecero voltare Jet e Peter, che stavano facendo una partita a scacchi sull’altro tavolo. Nessuno dei due osò immischiarsi nel discorso!
- Giusto. E’ un dato di fatto, che siamo elettrodomestici pensanti! – disse Hilda alzandosi – vorrei solo che qualcuno non si premurasse di ricordarmelo! – detto questo uscì dalla stanza per recarsi nel laboratorio ad aiutare Bishop.
- Ma che ho detto?! – fece Olivia sconvolta, rivolgendosi a Joe.
- Non badarci, è solo che 004, tra tutti noi, è la persona che fatica di più ad accettare ciò che è…non che per me e gli altri sia facile, ma lei è condizionata molto di più dal fatto che sia meno umana anche nell’aspetto esteriore…-
Olivia tirò un respiro nervoso – Capisco. – disse.
Peter scosse il capo, sorridendo a Jet: - Tutto sommato Hilda e Olivia si assomigliano abbastanza! – - Ah, è per questo che non vanno d’accordo? –
- Esattamente! Non si può andare d’accordo con qualcuno che ha i nostri stessi difetti! –
- Allora, secondo la tua teoria, io dovrei andarci d’accordissimo, con Hilda. Quindi come spieghi che ci litigo di continuo? –
- Perché… a te piace un mondo litigare! – disse il ragazzo, ridendo: era molto intuitivo e in quei giorni era riuscito già a capire di che pasta erano fatti i suoi stravaganti ospiti.

Bishop aveva già aperto il braccio di Pumna; la pelle era allargata come una tenda e i meccanismi intrecciati a poche vene luccicavano sotto la luce della lampada. D’un tratto il dottore sollevò la testa dal suo lavoro, lasciando una piccola pinza e un bisturi infilati in mezzo ai circuiti. Pumna e Hilda, che faceva da assistente, lo fissarono preoccupati.
– …qualcosa non va? – domandò il ragazzo, facendosi coraggio.
- Proprio non lo affermerei: finché avverto l’impulso di urinare direi che è tutto a posto! Torno subito!-

  1. 004 lo fissarono allibiti mentre lasciava la stanza mollando il lavoro lì dov’era!

- 004, ti prego, non allontanarti da qui per nessuna ragione al mondo! – disse Pumna.
- Cosa c’è, hai paura? –
- Devo dirti la verità? –
- No, se non lo vuoi. –
- Allora non ho paura! -
Fortunatamente Bishop tornò subito e l’intervento non durò molto. Senza neanche levarsi i guanti chirurgici, il dottore tirò fuori una grossa caramella gommosa dalla tasca e la porse a Pumna.
- Te la sei cavata bene, solitamente ho a che fare con individui che fanno sempre un sacco di storie. Prendi: gli zuccheri sono assolutamente insalubri ma hanno ottimi effetti sugli stabilizzatori dell’umore; naturalmente, non quanto le droghe! – il ragazzo prese la caramella e seguì con gli occhi l’uomo mente usciva dalla stanza.
“Questo qui non ci sta del tutto con la testa!” pensò, constatando però che il “lavoro” era ben riuscito.

Dalla porta del soggiorno, Joe osservava Bretagna impegnato con Francoise in un animato discorso su non si sa che; parlavano con entusiasmo e ogni tanto lei rideva, mentre sistemava la cucina.
- Passano un sacco di tempo insieme; non l’ho mai vista chiacchierare tanto con qualcuno. Ma che ci troverà? – si fece sfuggire davanti Peter.
– Non sarai mica geloso? – fece il ragazzo.
- Sono solo preoccupato! – rispose Joe un poco infastidito da quel commento.
– E’ perché Olivia ti sta suggestionando con i suoi sospetti. D’altro canto è difficile pensare che una persona possa cambiare vita radicalmente… io ci ho messo del tempo per accettare mio padre.-
- Dopotutto sei fortunato ad avere un padre. Io il mio non l’ho mai conosciuto. –
- Sei proprio certo di non essere tu, quello fortunato? –  disse Peter, ironico.
- Bè, alle volte penso che se lo avessi farei tante cose con lui…penso che mi piacerebbe averlo vicino. –
- Oh, anch’io faccio tante cose con lui. Tipo analizzare cadaveri con anomalie! –
- Si, voi avete decisamente un rapporto particolare: anche se personalmente non posso giudicare, devo dire che siete molto diversi dagli altri padri e figli che ho conosciuto! –
-  “Diversi” è il termine giusto! Comunque tu hai un’immagine troppo stereotipata del rapporto padre/figlio; eppure, conoscendo un caso come quello di Ivan, non dovrebbe essere così…-
- Alle volte dimentico che Gamo è suo padre. Francamente…non riesco ad accettarlo! –
- La realtà è sempre dura da accettare. Sono i casi come quello di quel bambino che mi ricordano che, dopotutto, sono stato fortunato! –
L’ingresso di Bishop nella stanza li zittì all’istante.
– Joe, potrei avere un frullato di quelle deliziose pesche che ho visto in giardino? –
- Certamente! – disse il ragazzo alzandosi per andare a prenderle.
– Lascia stare: vado io! – disse Peter.
– Ah – lo fermò Walther – spero che non usiate come pesticida l’atrazinadesetil: il mio organismo ha delle reazioni alquanto stravaganti all’atrazinadesetil.- 
“Alquanto stravaganti”?
- Non si preoccupi: niente pesticidi! –
- Perfetto! – Peter colse lo spunto per fare un giro in giardino, mentre Joe rimase un poco con il professore. In quei giorni avevano preso una discreta familiarità; l’unico a non volerci interagire era proprio 009, dal momento che la presenza dell’uomo lo riportava involontariamente con la mente ai Black Ghost.
– Ho sentito nominare Gamo, poco fa.- disse Walther a Joe.
– Si…- il ragazzo cercò di essere evasivo – parlavamo di Ivan…vuole del the?- Bishop annuì
- Gamo Wiskey… uno degli scienziati più brillanti dell’organizzazione…pensa che quando Peter era molto piccolo aveva contratto un male ritenuto incurabile; Gamo mi propose di trasformarlo in cyborg, per salvarlo, ma mia moglie si oppose con tutte le sue forze e, per amor suo, rinunciai. Pensa che si era offerto di portare a termine l’intervento! – il professore scosse la testa, ricordando l’assurdità di quelle circostanze.
-Lei quindi conosceva bene il dottor Gamo? –
- Si, si. Un vero genio, ma completamente pazzo! Ho preferito tenere mio figlio lontano da lui; se mi fossi deciso a operarlo, avrei impedito a chiunque di toccarlo al mio posto! – mentre si perdeva nei suoi cupi ricordi, il dottor Bishop aveva totalmente cambiato espressione del viso. Joe era profondamente turbato dalla mobilità dei lineamenti di quell’uomo: aveva visto qualcosa di simile solo nel viso dell’alter ego di 009. L’ingresso di Olivia distolse tutti dai loro pensieri.
- Allora, è tutto a posto? –
- Certo, cara – rispose Walther appoggiando la tazza – stai partendo? –
- Si, non posso più rimandare. Broyles mi vuole subito a Boston. Tu resterai qui ancora qualche giorno. –
- Tornerai a prendermi? – di nuovo un cambiamento nei lineamenti di quel viso: la durezza di pochi minuti prima aveva lasciato il posto alla tenerezza di un bambino spaesato.
- No. Tornerai con Peter. Allora…a presto e buona permanenza! –

Olivia era partita da qualche giorno; Bishop continuava il suo lavoro  e Peter era ormai rassegnato a stare in quella che definiva “una simpatica immersione nella follia collettiva”.
Dal giorno dell’arrivo di Bretagna non erano successi altri inconvenienti. Era un periodo di pace che Hilda definiva “eccessivo”; se era “eccessivo” per Hilda, lo era ancor di più per Bretagna, che si chiedeva che fine avessero fatto i Black Ghost e che idea avessero della sua sparizione; tuttavia la presenza di Francoise era diventata per lui l’oggetto principale di attenzione: quella ragazza era come un’ancora che lo tratteneva alla sua vera natura; non che stesse sempre da solo con lei, ma capitava sempre più di frequente che passasse del tempo a chiacchierarci. Aveva addirittura ricominciato a leggere: fino a poco prima gli pareva quasi di aver disimparato! Dal canto suo Francoise lo osservava in silenzio con la stessa soddisfazione di un medico che vede i progressi nel suo paziente.
Il comportamento naturale della ragazza non veniva visto sempre di buon occhio dai suoi protettivi amici, in primis da Jet, il quale ci tenne a chiarire subito con Bretagna il fatto che sì, era un periodo particolare, ma che, considerando che ancora non si conoscevano a sufficienza, avrebbe fatto bene filare dritto con Francoise, ritenuta troppo vulnerabile per la fiducia che riponeva in chiunque; l’effetto fu quello delle intimidazioni fatte da un padre o da un fratello all’incauto frequentatore della congiunta, al che, un perplesso 009 chiese al ragazzo: - Ma sei geloso? –
La risposta fu secca e inequivocabile: - Sì!! -
Poi fu il turno di Chang:
- Amico, non metterti strane idee in testa con Francoise: comportati da uomo maturo e ricordati che hai minimo 20 anni più di lei! –
- Certo che mi comporto in modo maturo, nanerottolo! Comunque ti consiglio di pensare per te: sai, potresti essere una polpetta per serpenti! -
Bretagna si trasformò in un cobra gigante, spalancando le fauci appuntite su Chang, che istintivamente, si fece ancora più piccolo, poi…riprese di colpo la sua forma normale.
- Naturalmente scherzavo: la carne mi piace fresca e senza pezzi di ferro dentro! – disse allontanandosi. Anche nelle trasformazioni quella persona era diversa da quella dell’altra dimensione: il Bretagna/007 le usava come un bambino divertito userebbe un giocattolo, in modo volutamente comico; il Bretagna/009 voleva a tutti i costi terrorizzare chi lo guardava.
“Non capisco perché mi reputino pericoloso con l’unica persona che non ha niente da temere! Comunque ormai è appurato che i numeri pari della squadra ce l’hanno con me!” pensò, chiedendosi anche per quale motivo il suo comportamento con la ragazza dovesse dare adito a equivoci pur essendo uguale a quello di chiunque altro della squadra!

- Dov’è andato 009? – chiese Joe.
- E’ in giro con Francoise – rispose Pumna. Joe si allarmò come al solito.
- Sono usciti da soli? –
- Si, ma non preoccuparti: stanno praticamente passeggiando qui intorno; se ti affacci alla finestra dovresti vederli sulla scogliera. –
Il ragazzo si tranquillizzò e pensò che, dal momento che erano tutti presenti e certi di non essere spiati (la capacità di 009 di rendersi invisibile non era molto tranquillizzante: poteva essere lì a insaputa di tutti, se non fossero stati certi che era con l’amica), potevano fare un punto della situazione.
- Volevo avere una vostra opinione su quel tipo, specialmente la tua, Hilda: adesso è qui da un po’ di giorni e non vi nascondo che non so che cosa pensare. Ho parlato con Olivia Dunahm e lei non è per niente convinta del fatto che gli stiamo dando fiducia. Ho saputo cose inquietanti di lui, per non parlare del suo modo di combattere…dopo averlo visto in azione contro il suo alter ego ero già rimasto piuttosto sconcertato…-
- Sai già cosa ne penso, Joe. – disse secca Hilda.
- Però, da quando è qui, non ci ha dato motivo di dubitare di lui…- intervenne Pumna - …anzi direi che ci è stato utile! –
- In realtà sono preoccupata soprattutto per Francoise – continuò la ragazza – gli sta dando davvero troppa fiducia: è convinta di aver a che fare con l’alter ego che è venuto dall’altra dimensione, ma sono persone con un carattere e un percorso di vita completamente diversi! –
- Già – incalzò Jet – la nostra francesina è anche in gamba, ma crede che tutte le persone, infondo, siano buone! –
- Francoise non ha tutti i torti. – Geronimo uscì finalmente dal suo silenzio.
- Tu pensi che lei non si stia sbagliando su 009? – chiese Joe, sempre interessato al pensiero dell’amico.
- Ci sono ancora delle cose poco trasparenti in quella persona, ma penso che quando avrà risolto i suoi dubbi personali, sarà un buon compagno per noi! –
- Ha ragione Geronimo – disse infine Chang, riflettendo sull’ultimo “scambio di opinioni” avuto con 009 - è piuttosto inquieto, ma se avesse voluto fare qualcosa l’avrebbe già fatta. O no? –
- Ad ogni modo – continuò Geronimo – è sempre uno di noi. Ha avuto la nostra stessa sorte e non trovo giusto abbandonarlo. –
- Ripensandoci – intervenne Pumna  rivolgendosi a 008 – con te si è verificato qualcosa di analogo: ti abbiamo conosciuto solo il giorno della fuga, mentre noi avevamo avuto modo di conoscerci prima; non potevamo ancora sapere se fidarci di te e poi è andata bene! –
- Non è la stessa cosa, Pumna! Io non ho mai lavorato per i Black Ghost! –
- Ma forse lo avresti fatto, se non ti avessimo portato via da lì! –
- Puoi giurarci! – Bishop era entrato nella stanza e aveva subito detto la sua – Se ti fossi trovato da solo con loro, avresti fatto né più né meno ciò che ha fatto lui! Il vostro amico era quasi nella mia situazione. Si possono fare delle cose… che poi si rimpiangono tutta la vita…- davanti a questa frase, gli altri si  ammutolirono pensierosi.

- Lo so che mi hai chiamato per nome perché lo sapevi da quell’idiot…ehm, dal “me stesso alternativo”, ma… non avresti dovuto chiamarlo con il codice? Dopotutto eri in battaglia! –
- Si, lo so, però quando l’ho conosciuto mi subito ispirato un’aria familiare… e poi chiamandolo con il codice avrei solo creato confusione: nella sua dimensione lui è 007, mentre nella nostra quello è il codice di Pumna: avremmo avuto due “007”! –
L’altro rise – “007” ?  Come  James Bond? Assurdo! E sono pure di Londra! –
Anche Francoise rise. – Davvero? Sei proprio di Londra? –
- Si. Un tempo mi sembrava bellissima… A quanto pare la visione della bellezza è tutta negli occhi di chi guarda! –
- Forse è così, però mi dispiacerebbe pensare che non possa essere anche qualcosa di assoluto. Ci sono cose di cui nessuno metterebbe in dubbio la bellezza, come ad esempio…-
- Te. –
- Cosa? –
- Te. Non penso che qualcuno potrebbe mai mettere in dubbio la tua…bellezza. – si fermò esitante, incredulo di quello che aveva detto. Francoise arrossì.
- Veramente io pensavo più a qualcosa tipo un tramonto o…”il lago dei cigni”! –
Bretagna si voltò dall’altra parte, imbarazzato “cosa diavolo mi passa per la testa?!”
- Ehm…già. O tipo l’”Amleto”! “…Che opera d’arte è l’uomo! Com’è nobile in virtù della ragione! Quali infinite facoltà possiede! Com’è pronto e ammirevole nella forma e nel movimento! Come somiglia a un angelo, per le azioni, e a un dio per la facoltà di discernere! Eppure per me non è che quintessenza di polvere… ”–
- Conosci l’”Amleto” a memoria? – il viso di Francoise divenne prima meravigliato, poi raggiante.
- Bè, si…non è strano. Facevo l’attore teatrale! –
- Non ci posso credere! Ecco perché conoscevi tutte quelle cose! Sapessi quanta voglia che ho, alcuni momenti, di parlare di questi argomenti! Non che non possa farlo: gli altri mi ascoltano con piacere, ma… non sono in grado di parlarne con me! – per la prima volta, dopo anni, Bretagna ebbe un sorriso di tenerezza verso qualcuno. Francoise se ne accorse e, per un attimo, gli sembrò di avere accanto l’amico dell’altra dimensione, sentendosene profondamente rincuorata.
- Allora, quando vuoi… sono a tua disposizione. Beviamo un the, parliamo del “lago dei cigni”, di “Giselle”, del “mercante di Venezia” e di quello che più ti piace! Sempre che i tuoi amici non me ne vogliano: sembrano dei fratelli gelosi! – Francoise sorrise.
- Effettivamente è come se lo fossero! Certe volte esagerano un pochino, ma io so badare a me stessa! –
“Un pochino?” pensò Bretagna “ sono stato minacciato di morte addirittura dal nanerottolo!”

Ovviamente, continuando a scorrere la lista dei “parenti preoccupati”, non si fece attendere nemmeno la reazione di Hilda, che lo chiamò in disparte proprio quella sera dopo averli visti chiacchierare tranquillamente davanti al mare.
- So perfettamente di non esserti simpatico…non che mi sia molto impegnato per sembrarti tale! – le disse Bretagna, dopo aver ascoltato l’ennesima manifestazione di scetticismo.
- Ma nooo, perché dici questo? Infondo hai solo cercato di uccidermi una volta! E’ già tanto che tu non ci abbia riprovato! – Hilda gli risultava davvero irritante, quando faceva dell’ironia!
- Va bene, scusa per aver tentato di ucciderti. Così va meglio? –
- No. A me non interessa quello che proviamo l’uno per l’altro: mi interessa solo che tu non faccia brutti scherzi con Francoise: lei non sa fin dove può spingersi l’animo umano! –
- Allora non è assolutamente un problema, perché io non sono umano! Comunque… sono semplicemente diventato suo amico. –
- Per quanto mi riguarda – sentenziò la ragazza – tu potresti tranquillamente recitare la parte dell’amico! –
- E’ vero che so recitare, ma quel ruolo non l’ho mai ricoperto: non sono un ipocrita. – detto questo piantò la ragazza in mezzo alla stanza e andò a farsi un giro per smaltire la fastidiosa sensazione che gli aveva lascito addosso quella discussione.
Bretagna, infondo, stimava Hilda: preferiva un modo di fare duro e diretto a uno fintamente gentile; senza contare che 004 appariva come la “meno umana” del gruppo e questo, in qualche modo, gliela faceva sentire affine; tuttavia il discorso appena sostenuto lo aveva riportato involontariamente “indietro”, ricordandogli ciò che era stato fino a pochi giorni prima e facendogli ipotizzare che il cambiamento che stava intraprendendo poteva essere del tutto inutile. Senza contare che stava prendendo atto del fatto che i suoi sentimenti gli stavano decisamente sfuggendo al controllo e questo poteva essere un imperdonabile errore…
In quel preciso istante Francoise non se la stava passando meglio di lui: Joe l’aveva chiamata nella sua stanza per parlarle a quattr’occhi e, nonostante le parole di Pumna, Geronimo e Bishop gli avessero dato da riflettere, considerava comunque rischioso lasciarsi andare a eccessive confidenze con qualcuno del quale non erano sicuri al cento per cento. Purtroppo, a causa del suo comportamento ansioso, il dialogo con la ragazza aveva preso una brutta e inaspettata piega, tramutandosi prima in paternale, poi in litigio.
- Tu non rifletti su quello che fai! – 
-  Joe, mi spieghi che problema hai? –
- Sono semplicemente preoccupato per te: ho paura che quel tale possa avere un interesse “particolare” nei tuoi confronti. –
- Anche se fosse? Te lo chiedo di nuovo: che problema hai? –
- Io…nessuno. Solo che…ecco…non mi sembra la persona giusta per te. – la ragazza rise, esasperata.
- Perché? Per quale ragione dici questo? –
- Perché…è un assassino con un passato da alcolista, ecco perché! –
- Non è più né l’una né l’altra cosa! E poi chi sarebbe la “persona giusta” per me, secondo te? –
- Non lo so. Vorrei che fosse qualcuno alla tua altezza, degno di te. –

- Ad esempio…te? –
- No. Io non lo sono mai stato. Non ho mai avuto una famiglia alle spalle e mi porto dietro troppi fantasmi…-
- Allora, secondo te, dovrei rimanere sola perché non esiste una persona “alla mia altezza”? Joe, non sono una bambolina da proteggere, lo capisci questo? So badare a me stessa! –  detto questo, lasciò la stanza battendo la porta così forte che tutti si chiesero cosa fosse accaduto.
Joe restò rintanato tutto il giorno: quella sfuriata lo aveva messo totalmente in agitazione, come  se, oltre al contenuto esplicito delle parole della ragazza, ci fosse dell’altro che non riusciva a cogliere. Venne fuori solo a tarda notte, quando era certo di non incontrare Francoise, con la quale non avrebbe saputo come comportarsi. Si versò una tazza di caffè e se ne andò in veranda a berlo, guardando le luci delle barche di qualche pescatore che si riflettevano sul mare.  All’improvviso l’odore di una sigaretta alla sua destra lo riscosse dalle sue riflessioni: nel buio, accanto a lui, c’era Bretagna che, vedendolo sorpreso, anticipò i suoi pensieri:
- Guarda che sono qui da un pezzo, ma se non mi hai visto dipende esclusivamente da te: ti assicuro che mi avrebbe notato anche un cieco! – Joe fu un pò seccato per quella sua distrazione.
– Si…è che sono solo un po’ assonnato…-
- Per questo bevi caffè in piena notte? Solitamente si prende una camomilla! - per tutta risposta ricevette un’occhiataccia.
– Ok, non sono fatti miei. - in realtà non c’era un solo essere vivente nella casa a non aver intuito l’accaduto del giorno prima. Ci fu qualche minuto di silenzio, poi fu l’uomo a parlare.
- Tu… tieni particolarmente a lei, non è così? –
- Si, ma non in quel senso. Comunque non sono fatti che ti riguardano! –
- Forse hai ragione…anche questi non sono fatti miei. – non voleva mettersi contro Joe e, infondo, lui era l’ultimo arrivato: cosa ne poteva sapere dei rapporti che regolavano la squadra?
-…Tuttavia…- continuò -  non bisogna essere particolarmente intuitivi per capire che, in qualche modo c’entro col vostro litigio. -
– Anche se fosse? Francoise agisce sempre di testa sua! Comunque, visto che siamo in vena di confidenze, voglio che tu sappia che mancherò due o tre giorni: se vengo a sapere che in questo tempo hai provato a farle del male, giuro che non te lo perdonerò! –
- Non potrei mai farle del male, neanche se lo volessi. Ad ogni modo, sappi che sto considerando l’idea di andarmene appena possibile: a quanto pare, facendola litigare con te, le procuro indirettamente dei problemi: non hai visto che faccia aveva oggi! ‘Notte, 008! – Appena Bretagna si fu allontanato, Joe provò un vago senso colpa per come si era comportato.
Già: era il momento di andare. Ma non tanto per quella forma di diffidenza che avevano nei suoi riguardi: in fondo, era naturale. La vera ragione stava nella necessità di scappare, prima che fosse troppo tardi. Non gli piaceva affatto ciò che stava provando…ci sono sentimenti che portano solo guai.
“Come mi è venuta in mente un’idea del genere? Sono diventato pazzo del tutto se immagino una vita normale accanto a lei. E poi…”vita normale” la mia, che non lo è mai stata! Anche se, pur di averla vicino, mi andrebbe bene qualsiasi tipo di vita, anche la più assurda. Maledizione, ho sempre odiato il ruolo di Cyrano!”

L’indomani Francoise salutò Joe; cercò di far finta di niente, ma era chiaramente ancora arrabbiata. Bretagna cercava di evitarla, ma fu lei a chiedergli di fare un giro là intorno, mentre aspettava Jet, con il quale sarebbe andata in ricognizione tra un po’. Così finirono a chiacchierare come al solito.
- Com’è stato quando vi siete conosciuti tra voi? – domandò lui dopo un po’: era da molto che voleva chiederglielo.
- All’inizio è stato tutto difficile. Non c’era molta fiducia, ci siamo studiati a lungo. Poi abbiamo capito che eravamo tutti uguali e che dovevamo provare a stare insieme.-
- Anche Jet e Hilda? Mi meraviglio che, per come sono fatti, siano riusciti a convivere con tra loro!- - Hanno un rapporto particolare. – rispose lei, comprensiva.
- Per questo non fanno altro che beccarsi?-
- E’ il loro modo di comunicare! –
- E Joe? Lui non avete fatto in tempo a conoscerlo prima. – la domanda era vagamente interessata.
- Con Joe ci siamo affidati alla fortuna. Era fondamentale spiegargli subito la situazione e tirarlo dalla nostra parte. È’ stato un momento difficile. Pumna ripete sempre che è stato merito mio, ma penso che sia merito di Ivan.-
- Ma sei stata tu ad attirarlo…-
- Forse...  – sorrise lei.
- In pratica…lo stai facendo anche con me?- chiese tra il serio e l’ironico.
- Niente affatto! Io non faccio niente con nessuno: siete adulti, liberi e capaci di pensare! – rispose la ragazza facendogli una finta linguaccia – Piuttosto…- disse poi, seria - noi siamo scappati tutti insieme, ma ci vuole coraggio per farlo da soli! –
- No, non sono affatto una persona coraggiosa. Ho iniziato a bere per vigliaccheria: volevo morire, ma non avevo il coraggio di attaccarmi una corda al collo, quindi ho deciso di ammazzarmi senza dover trovare la forza per farlo…le azioni venute dopo sono piuttosto frutto di incoscienza: non penso quando agisco e quindi posso fare qualunque cosa! E poi… ho ucciso troppe persone…in modo orribile. Non sono come il tuo amico dell’altra dimensione: lui non ha mai fatto quello che ho fatto io! –
- Lo so già. Perché tieni tanto a dirmelo? –
- Perché… non voglio che tu ti faccia un’idea sbagliata di me. Non voglio che tu mi veda come una persona buona! –
- Non sono io a vederti così: so semplicemente che lo sei! –
- Mi confondi con quell’altro dell’altra dimensione! Io non sono come lui! – tenne a ribadire 009; lo stava facendo di nuovo: cercava nuovamente di sollevare un muro tra lui e la ragazza.
- Allora perché mi hai salvata? –
- Te l’ho già detto: non penso quando agisco, non so perché faccio alcune cose. Standomi vicino ti creerò solo problemi! – detto questo, si allontanò, lasciando Francoise più perplessa che mai.
Jet venne giù dalle scale e la raggiunse sulla porta.
- Che hai, piccolina? – chiese vedendo l’amica con un’espressione stranissima dipinta sul volto.
- Niente. Andiamo, Jet? –
Erano in perlustrazione nella zona del bosco ai piedi della montagna: non c’era da fidarsi dei Black Ghost e Geronimo qualche giorno prima aveva visto un’auto sospetta aggirarsi a una decina di chilometri dalla villa. Camminavano insieme controllando la strada restando al riparo tra gli alberi; a un tratto 003 alzò lo sguardo e attirò l’attenzione del compagno:
- Jet, guarda! –
- Che cosa, il falco? –
- E’ 009: ci ha seguiti. – Jet, senza dire niente e facendo preoccupare non poco la sua amica, spiccò il volo fino a raggiungere l’altro.
– Che cavolo ci fai qui? –
I due scesero a terra e Bretagna riprese la sua forma.
- Controllo l’area: ieri ho visto un paio di cyborg dei Black Ghost muoversi molto più in là del posto indicato da Geronimo!-
- E, per esempio, dircelo? –
- A quale scopo? Bastava non insospettirli: se non trovano niente non ci scoprono! – Jet lo guardò di sbieco, ma, prima che potesse aprire bocca, fu 003 a spiegare in maniera più diplomatica quello che doveva essere il suo pensiero:
- Quando si è una squadra, qualunque informazione va condivisa con gli altri, importante o no che sia. – 009 stava per ribattere che lui non faceva assolutamente parte della cosiddetta “squadra”, quando, insieme a 003, percepì le due presenze che, silenziosamente, erano sbucate dagli alberi a una decina di metri da loro: lei si accorse di loro poco prima, ma fu lui a riconoscere chi aveva di fronte a sé e a trasformare l’intero braccio in un enorme scudo prima che tutti e tre fossero investiti da una violenta raffica di proiettili.
- Che diavolo?! – esclamò Jet, sorpreso dalla rapidità di quanto stava accadendo; istintivamente prese la pistola per uscire allo scoperto e sbaragliare i nemici, ma fu 009 a urlargli di fermarsi:
- Non farlo! Sono X5 e X6, una versione evoluta di 004: hanno una potenza tre volte più grande e i loro proiettili forano qualsiasi cosa, tranne la lega metallica che sto…simulando…- si capiva che stava facendo sempre più fatica a mantenere la trasformazione e, continuando a stare sotto quei colpi incessanti, tra breve avrebbe ceduto – dovete…scappare! Velocemente! –
- Non fuggo come un coniglio!! – urlò 002.
– Non me ne frega niente, di quello che vuoi fare: PORTA VIA 003!! – a questo punto Jet ebbe chiara la situazione: seguendo il suo proposito, si sarebbe fatto subito colpire e 009 non sarebbe più riuscito a proteggere Francoise e se stesso! Stava per eseguire quell’ordine che non ammetteva repliche, quando ci fu un altro colpo di scena: arrivò una nuova pioggia di proiettili, questa volta dalla loro sinistra, che andò a precipitarsi su uno dei due aggressori: era arrivata 004! Anche se X6 era stato eliminato, il suo compagno, più rapido di riflessi, non fece una piega: raddoppiò la potenza del fuoco da entrambe le braccia, investendo sia Hilda che Bretagna. La ragazza fu colpita alla spalla, a un braccio e al fianco, ma continuava a resistere in piedi incurante, come il suo avversario, del piombo che attraversava l’aria. Jet non ne poté più e, gridando disperato il nome della donna, stava per fare un’azione che si sarebbe tranquillamente rivelata un suicidio, se X5 non avesse, improvvisamente, preso fuoco davanti a loro! Dietro al corpo che bruciava si era materializzato un Chang ansimante e sudato.
– 004, la devi smettere di correre così tanto: lo sai che non sono rapido come te! – Hilda fece un sorriso di gratitudine, prima di accasciarsi svenuta al suolo. Jet le corse incontro, preoccupatissimo, insieme a Francoise, mentre Bretagna si reggeva il braccio con il quale aveva protetto gli altri.
– Jet, prendila e vola di corsa da Bishop! – gli disse 003; il ragazzo non se lo fece ripetere e in un battito di ciglia era già sparito. Francoise stava per rivolgersi a Bretagna per ringraziarlo ancora una volta e controllare il suo braccio, che non la convinceva affatto, ma lui si era portato verso 006, che stava allontanandosi, trattenendolo:
- Aspetta. Qui non abbiamo finito: devi dare fuoco a entrambi i corpi. –
- Per quale ragione?- domandò Chang quasi indignato – Ormai sono morti: io non brucio le persone per divertimento! –
009 divenne cupo e serio come la solo la sua versione da “seguace dei Black Ghost” poteva essere e gli rispose con un tono da far rabbrividire chiunque:
- Non ho detto che devi divertirti! Questi cyborg hanno tutti, da qualche parte nel loro corpo, un chip che permette all’organizzazione di ritrovarli: se verranno rintracciati, sarà come rivelare ai loro capi la nostra posizione. Quindi: o tu, adesso, scavi una fossa e dai fuoco alle due carcasse, o toccherà a me, con molta pazienza, sbudellarli pezzo per pezzo sotto i vostri occhi! – detto questo tramutò la mano in un’inquietante lama tritacarne.
– O..ok! – rispose Chang facendo immediatamente quanto gli era stato detto. Con la potenza del fuoco che buttava dalla bocca, 006 creò una fossa profonda, dove i cadaveri furono gettati e inceneriti, mentre Francoise cercava di distogliere lo sguardo da quella scena. Quando tutto fu finito, 009 riprese un tono di voce apparentemente normale. – Bene. Qua finisco io. Voi precedetemi. – la ragazza sarebbe rimasta, ma Chang la portò con sé, capendo che forse era il caso di lasciare l’altro da solo.
Bretagna teneva lo sguardo fisso sui corpi carbonizzati, ma non li guardava. Ripensava alle le parole di Francoise: “Tutti abbiamo bisogno di essere difesi…di difenderci reciprocamente”.

Hilda, intanto, era in stato semicosciente sul lettino del laboratorio. Il professore aveva dato uno sguardo superficiale alle ferite e doveva levarle la camicia per iniziare il suo lavoro. Istintivamente, la ragazza gli bloccò la mano.
– N…no. Non voglio…-
- Cara, mi è impossibile curarti, in questa maniera. Se non vuoi che lo faccia io, fatti aiutare da qualcun altro, ma dubito che tu riesca a spogliarti da sola! – quelle parole la riportarono alla razionalità e accettò che il professore la spogliasse, lasciandola seminuda con le ferite bene in vista. In realtà Hilda era sempre stata un po’ pudica, ma in quel caso le ragioni erano altre: non solo non amava mostrare un corpo che non sentiva più suo, ma aveva anche un vaghissimo ricordo dell’intervento che l’aveva trasformata e, in questo ricordo, il volto di Walther Bishop la guardava tra quelli degli altri che l’avevano ridotta in quello stato; tuttavia, quell’uomo aveva un modo di fare che non corrispondeva certo all’atteggiamento arrogante dei Black Ghost.
– Sai – continuò il dottore, mentre preparava l’anestetico – non devi assolutamente sentirti in imbarazzo: a parte il fatto che, facendo questo lavoro, non sei la prima bella donna che vedo nuda, ma, per quanto mi riguarda, se un corpo è steso su un lettino medico o su un tavolo anatomico, per me non è altro che un affascinante meccanismo, perfetto e asessuato! –
- Ah! – fece la ragazza, recuperando la sua ironia – allora, in tal caso, è una fortuna che il mio corpo sia steso sul primo anziché sul secondo!-
Dopo poco più di un’ora, Bishop uscì dalla stanza. In corridoio stavano Jet e Francoise; gli altri erano in soggiorno insieme a Peter, aspettando nervosamente notizie.
– Tutto a posto – disse il professore, rincuorandoli all’istante – le ferite principali sono nella parte meccanica, quindi la ripresa sarà immediata; quella al fianco ha coinvolto anche alcuni tessuti, dunque ci impiegherà un po’ più di tempo a guarire, ma domani stesso potrà alzarsi dal letto, purchè stia a riposo per almeno qualche giorno. In verità è stata molto fortunata: potevano crivellargli di colpi il cranio colpire altri punti vitali…- nel sottolineare queste cose con disinvoltura, Bishop non manifestava molta sensibilità, dal momento che i volti già provati dei ragazzi impallidirono ancora di più visualizzando mentalmente la scena.
– Posso vederla? – chiese Jet.
– Solo un paio di minuti, senza farla stancare. Ci vuole un po’ di pazienza: domani sarà tutta vostra! – in realtà il ragazzo non aveva neanche sentito la risposta che era già dentro.
Hilda aveva gli occhi chiusi; il professore le aveva steso addosso un lenzuolo prevedendo che avrebbe ricevuto visite (e certamente i visitatori non avevano il suo distacco!): riconobbe subito i passi di Jet e fissò i suoi occhi azzurri a pochi centimetri da lei.
– Sto bene. – disse subito, leggendo la preoccupazione sul suo viso.
– No, che non stai bene. E poteva anche andare peggio! Come ti è saltato in mente di pararti tra noi e quelle bestie come un kamikaze?! – l’istinto di stringerla forte a sé era stato sostituto inspiegabilmente da un’enorme rabbia al solo pensiero di come si erano svolte le cose.
– Eravate in pericolo e mi è sembrato il modo migliore di agire. – finse una freddezza che non aveva avuto nel momento in cui aveva fatto chiaramente un’azione sconsiderata.
– POTEVI MORIRE! – urlò Jet, tirando fuori la disperazione che quel pensiero portava con sé. Hilda restò un istante in silenzio. Dopotutto, il fatto di morire per salvare qualcuno, non le sembrava decisamente una cattiva idea. Nel sentirsi attaccare in quel modo provò tuttavia quasi un senso di colpa, al quale reagì, purtroppo, con una risposta decisamente infelice:
- Allora? Se fossi morta almeno non avrei più avuto dubbi tra te e Albert!-
- Sei una stupida! – disse il ragazzo uscendo di corsa; nel varcare la soglia diede al muro un pugno che fece tremare le pareti della casa. Andò a sfogarsi in soggiorno, dove erano rimasti Pumna e Bretagna, che lo guardavano con commiserazione! Jet ormai parlava a ruota libera.
- …Se potessi, prenderei a pugni il suo ex!!!...solo che è morto e, a quanto pare, lo status di morto ti rende intoccabile! –
- Già.- commentò Bretagna - Che invidia! –
- Maledizione!! – Jet diede un altro pugno sul muro – perché non si può mai essere chiari??? Perché bisogna sempre e comunque nascondere i propri sentimenti?? –
- Perché? – sospirò Bretagna, colto sul vivo -  Perché il mondo è solo un grande palcoscenico, non lo sapevi? Perché siamo tutti millantatori, ed io sono il primo della lista. Perché altrimenti perderemmo qualcuno o qualcosa. E poi, infondo, perché esprimere i propri sentimenti, quando gli eventi o le persone si frappongono tra noi e i nostri desideri? E’ tutto inutile. Meglio prendere quello che si riesce a raccogliere…e tacere.- Jet e Pumna lo fissarono con lo sguardo basito.
- Bene. – disse infine Jet - se continuo ad ascoltarti per altri cinque minuti mi butto dalla finestra senza azionare i reattori! –
L’ingresso di Bishop nella stanza interruppe i loro discorsi.
- Vieni con me! – fece a Bretagna, che si meravigliò di quella “convocazione”.
- Cosa c’è? – domandò, rendendosi conto che, in tutto quel tempo, era la prima volta che si trovava da solo faccia a faccia con Bishop.
- 003 mi ha detto che hai il braccio ferito: te lo metto a posto.
- Ah, non si preoccupi, non è niente. Mi sono già medicato da solo. –
- Fammi vedere lo stesso – insistette il professore. Quando diede un’occhiata alla medicazione “fai da te”, fece un’espressione decisamente scandalizzata.
- Per carità, figliolo: non riprovarci mai più! – esclamò disfacendo quello che per lui era un’inutile obbrobrio. Mentre il professore prendeva il materiale per effettuare una fasciatura dignitosa, Bretagna si fece sfuggire un commento:
- Ho sentito spesso parlare di lei, dai Black Ghost…e non positivamente! –
- Questo non è difficile da dedurre. La cosa importante è che tu non sia qui per uccidermi. –
- Non ne ho neanche il desiderio, cosa che, fino a qualche tempo fa, mi sarebbe venuta alquanto naturale! –
- Oh. Allora sono lieto di non averti conosciuto prima! –
- Lei…quando ha deciso di lasciare i Black Ghost… come è avvenuto? – la risposta a quella domanda gli interessava particolarmente.
- Con un ricovero in manicomio! Sono sopravvissuto solo grazie a questo: lì non davo fastidio a nessuno e, finché ero dentro, potevano verificare se avessi voluto riprendere la mia collaborazione o se fosse stato il caso di uccidermi. Ti assicuro che in quel posto farlo sarebbe stato un gioco da ragazzi! –
- Intendo dire…uff, maledizione! Io vorrei evitarlo, il manicomio! –
- Vuoi sapere quale percorso mentale ho affrontato e vuoi che ti suggerisca una maniera per venirne fuori materialmente senza rimetterci la pelle o il cervello, giusto? –
- Si. –
- Non so…All’inizio ero pieno di buone intenzioni e di curiosità scientifica e assolutamente privo di barriere morali…-
- E quand’è che sono cresciute, queste “barriere”? –
- Tutto un insieme di eventi concatenati: alcune persone che mi hanno aperto gli occhi, il pensiero di mio figlio e, soprattutto, la piega che stavano prendendo i progetti di Gilmore e degli altri dopo la creazione del cyborg 006. –
- A che si riferisce? –
- Fino a quel progetto i “prototipi” realizzati, tolto quello di Gamo,  erano abbastanza “classici”: permettere all’uomo di volare, dotare una spia di super vista e super udito, rendere nuovamente “funzionale” un soldato mutilato, potenziare i muscoli e, anche se singolare, far sputare fuoco a scopo bellico…-
- Certo. Stiamo parlando proprio di veri “classici”! –
- Intendo dire: si sfidava il limite dell’umano, ma si forzava un po’ meno la natura…cioè: gli interventi erano più “realizzabili”; le cose si sono complicate già a partire da 007, il cyborg anfibio: è terribile forzare l’intero sistema respiratorio per fare determinate manovre sott’acqua a certe velocità; poi, con il progetto della velocità di 008, sono stati rielaborati già troppi parametri e, infine, tu…-
- Quando mi hanno trasformato lei non c’era più da un pezzo. Che cosa ne sa? –
- Io non ho conosciuto te di persona, ovvero non avevo visto il risultato finale della sperimentazione, ma ho visto come ci sono arrivati: non penserai mica che sei diventato così a colpo sicuro, vero? Prima di te ce ne sono stati ventuno. Tutti morti. Se vai a guardare nello schedario, tu risulterai essere il prototipo n.9/22 della serie 00. Puoi star certo che ho visto cose orribili. Da diventare pazzi! –
Ora la domanda era: “perché proprio io?”; magari quelli che lo avevano preceduto avevano famiglia, amici o, semplicemente volevano vivere.
- Io…ho fatto cose molto brutte. – disse infine, riflettendo su se stesso.
- Chi non ne ha mai fatte? –
- Gli altri, forse. Lei no…Francoise, intendo…E’ difficile starle accanto senza sentirsi “sporchi”, imperfetti, non degni. –
- Ti piace la francesina? –
- Eh? No, ma che dice! Cioè… forse.- fece una lunga pausa. Bishop lo fissò senza dire niente
- Professore, secondo lei c’è una speranza per quelli come noi?-
- Non lo so.- disse con un sorriso pieno di rimpianti - Io ci sto ancora lavorando!-

- Chaang! – Francoise entrò da sola in cucina con una piccola pila di stoviglie, mentre l’amico era nell’altra stanza – Oggi tocca a te risistemare il soggiorno, ricordi? – disse ad alta voce per farsi sentire da una camera all’altra.
- Lo so cara! Sto provvedendo! – rispose l’altro dal soggiorno.
-  Ho voglia di  un the. Lo preparo anche per te e per Peter? –
- Per me si…anche per lui! – dopo quella conversazione a distanza, la ragazza mise su la teiera e, come sempre, senza neanche alzare gli occhi, lo sorprese.
- Bretagna, lo hai fatto di nuovo. – 009 si materializzò come al solito dalla parete dove stava appoggiato, ridacchiando.
- Dai, non prendertela: lo facevo così, per gioco! Mi piace questa cosa che puoi vedermi solo tu…- la ragazza lo guardò con dolcezza, preparò una tazza anche per lui e gliela porse.
- Grazie! – rispose l’uomo sorridendo e…sparendo di nuovo nel muro così che la tazza sembrasse sospesa a mezz’aria. Francoise scosse il capo ridendo.
- No, dai, se ti vede Chang….- la frase fu interrotta dall’urlo di terrore del cinese che aveva appena varcato la soglia, lasciando precipitare a terra le stoviglie -…gli verrà un colpo! –
- Come sei emotivo, nanerottolo! – disse Bretagna rimaterializzandosi.
- Come sei deficiente…deficiente!! –
Peter entrò di corsa nella stanza, con il viso preoccupatissimo. Francoise lo tranquillizzò.
- Non è niente, sono solo caduti i piatti.-
- Non è per questo: ho letto on line una notizia di poco fa; dovete venire a vedere immediatamente!-
Il giovane mostrò loro ciò che aveva visto: si trattava dell’inquietante ritrovamento del corpo di un ragazzo, massacrato in modo alquanto insolito: l’assassino doveva essere evidentemente uno psicopatico, perché gli aveva amputato un arto sostituendolo con uno artificiale e gli aveva infilato in bocca una specie di cartiglio con dei simboli incomprensibili e dei numeri; alcuni siti riportavano delle immagini, se pure lievemente sfocate.
- Singolare, vero? Mi ha colpito non solo per il modo, ma anche per un dettaglio: l’arto artificiale…non è di tipo convenzionale, ma è molto simile a quelli descritti nei progetti di cyborg che mio padre stava studiando. E non è tutto: sono certo di aver conosciuto la vittima due giorni fa: era il cameriere nel locale dove ero andato con Joe; avevamo scambiato quattro chiacchiere, un tipo simpatico…- Bretagna fu improvvisamente assalito da un dubbio atroce.
- Io…non voglio farvi preoccupare, ma quando è stata l’ultima volta che avete sentito Joe? –
- L’ho sentito ieri sera – rispose Francoise – ci sentiamo sempre almeno una volta al giorno quando è in viaggio. Doveva rientrare stamattina, ma è normale che possa aver fatto tardi…cosa ti sta venendo in mente? –
- Per favore, chiamalo. – la ragazza fece quanto gli era stato detto, ma il telefono dall’altra parte era inesistente.
- Forse…forse ha perso il primo volo e sta tornando con il secondo…- disse con la voce tremante, cercando di farsi coraggio – cosa pensi che sia accaduto? –
- Non posso dirlo con certezza, ma alcune cose in questo delitto mi riportano alla mente una modalità operativa di uno dei membri dei Black Ghost. Questo ha tutta l’aria di essere un avvertimento e non vorrei che Joe fosse nelle loro mani! –
- Non potrebbe essere un avvertimento per Joe stesso? – disse Chang - Perché dovrebbero averlo preso? –
- Ci sono cose che…vorrei verificare – era evidente che stava nascondendo loro qualcosa, qualcosa che poteva notare solo lui che aveva lavorato per l’organizzazione; doveva capire, trovare conferme e cercare di non far preoccupare Francoise; doveva anche evitare che questo genere di avvertimenti si ripetessero (e si sarebbero ripetuti, se l’organizzazione si fosse resa conto di non ricevere “risposta” dal primo).
- Peter – disse infine rivolgendosi al ragazzo – pensi che, con una buona parola di Olivia, tuo padre possa ottenere un permesso per visionare il cadavere? – il giovane annuì.
La mattina dopo lui e Bretagna poterono entrare nell’obitorio al seguito del dottor Bishop. Avevano già eseguito l’autopsia sul corpo e la polizia brancolava nel buio. Bishop guardò l’inquietante spettacolo senza battere ciglio.
- Scusi – disse all’addetto che aveva dato loro accesso al gelido locale – non vedo il cartiglio che è stato ritrovato nella bocca del soggetto. E’ possibile dargli un’occhiata? – l’uomo annuì, estraendo l’oggetto, sigillato in una busta, dall’interno di un cassetto.
Bishop ringraziò e lo congedò, chiedendogli se dopo fosse possibile avere qualcosa per fare colazione, dato che quella mattina non l’aveva fatta; i peli sullo stomaco dello scienziato impressionavano persino 009! Il professore constatò che l’arto era, effettivamente, un “materiale di scarto” dei Black Ghost, ma rimase perplesso fissando il biglietto.
- C’era un codice alfanumerico per mandare segnali e comunicazioni agli stessi membri dell’organizzazione – disse – ma deve essere cambiato nel tempo, perché non riesco a comprendere il contenuto di questo foglio. – ammise con rammarico.
- Mi faccia vedere. – disse 009, togliendoli il biglietto dalle mani. Iniziò a leggerlo come se fosse stato il facile compito scritto per un bambino di scuola elementare. Alzò gli occhi dal foglio e fissò Peter e Walther.
- E’…è indirizzato a me. –
- Cosa dicono? Che vogliono? – chiese Peter con agitazione.
- Hanno preso 008 e mi chiedono di recarmi in auto da solo nel posto indicato da queste coordinate nella giornata di domani, tra le nove e mezzogiorno, altrimenti lo uccideranno! –
- Ma è assurdo! Tra l’altro potevi anche non sapere niente di quel biglietto! Come gli salta in mente una cosa del genere?! –
- A loro non importa più di tanto se vado o non vado all’appuntamento, dal momento che hanno 008 e ucciderlo è già un bel risultato: stanno solo sperando di prenderne due al prezzo di uno. –
- Quindi che possiamo fare? – chiese Walther.
- Forse, andando lì da solo, c’è qualche vaga speranza che non lo uccidano prima. Se ci muovessimo in gruppo, ci intercetterebbero lungo il percorso e ci accoglierebbero con il cadavere tra le mani. –
- Allora? – fece Peter – Intendi davvero andare da solo da quei pazzi? –
In quel momento Bretagna pensava solo al viso disperato di Francoise.
- Intendo far tornare Joe a casa.- disse aprendo la porta della stanza.
- Ma sai già cosa potrebbe accadere? Ce l’hai, un piano? – lo incalzò il ragazzo
- Joe tornerà a casa. – ripeté. La risposta non piacque per niente a Peter.

Partì in automobile, come gli era stato chiesto: in questo modo niente “entrate a sorpresa”: era identificabile e molto più vulnerabile. Mentre guidava si chiedeva se quello che stava per fare sarebbe andato a buon fine; in ogni caso, la sola cosa che contava era liberare Joe: Francoise non doveva perdere l’uomo che amava. Poi…qualunque cosa sarebbe stata di lui, sarebbe comunque andata bene. E se Joe non l’avesse amata come meritava, lo avrebbe perseguitato anche dall’aldilà! C’era un sole splendido, accompagnato da un vento che muoveva appena le cime degli alberi, diverso da quello forte dei giorni precedenti; pensò che il cielo mal si addiceva al suo stato d’animo: delle nubi grigie e un bel temporale sarebbero stati più appropriati per quello  che iniziava a ritenere l’atto finale della sua vita: un bel finale da tragedia shakespeariana, che lo avrebbe visto lasciare questo mondo con un ultimo gesto di coraggio e di espiazione. Banale, si, ma pur sempre un classico e lui adorava i classici! Invece c’era il sole, ed era ironico che lui, nato nella nebbia più profonda, dovesse morire sotto un sole luminoso!
Guardò nello specchietto retrovisore: una moto dietro di lui…era da un bel po’ di strada che lo seguiva. Inchiodò l’auto di colpo; l’incauto motociclista si sarebbe senz’altro schiantato contro il suo paraurti, se non avesse avuto dei riflessi più che fulminei, frenando a pochi metri dalla macchina. Bretagna scese dall’auto e incrociò le braccia, fissandolo.
Hilda sfilò il casco, rendendosi riconoscibile.
- Sei matto? –
- Tu, piuttosto! Ah, già: stai verificando che non me la stia squagliando consegnandovi tutti al Fantasma Nero! – la ragazza sbuffò – tra l’altro – continuò - devi prendermi per un completo deficiente se pensi che non mi accorga di una moto con quei colori assurdi! –
- Non è mia, è di Jet! –
- C’era da aspettarselo! Piuttosto, dove hai lasciato la tua “metà”? –
-  In quel momento Jet piombò dal cielo come un grosso falco.
- Anche tu qui?? – fecero Bretagna e Hilda in coro.
- E’ logico! Non siete mica i soli incoscienti! Signorina, non ti hanno insegnato a chiedere il permesso, prima di usare le moto altrui? –
- Avevo fretta! –
- Tra l’altro dovresti essere a casa in convalescenza!-
- Quante volte devo ripeterti che sto bene?! –
Bretagna li interruppe: - Che cos’è questa, una gita in comitiva? Tra due minuti ne spunterà fuori un altro dal cespuglio e poi un altro dal terreno…oppure il resto della truppa mi sta aspettando dai Black Ghost per gridare “sorpresa!” tutti insieme? –
- Come ti viene in mente di andare da solo? – lo rimproverò Jet.
- Come ti viene in mente che non ci stia tradendo? – ribattè Hilda severa, ma con poca convinzione.
- Perché…- il ragazzo restò interdetto - diavolo, non chiedermi cose stupide! Perché è così e basta! Che altro dovrebbe fare per dimostrarci che non sta col nemico, fare karakiri davanti ai nostri occhi?! – Bretagna abbozzò un sorriso: era quasi commosso dalle parole di Jet, quindi finalmente si ammorbidì e parlò sinceramente.
- Voglio riportare Joe a Francoise! –
- Eh?!? – esclamarono gli altri due stupiti. La sola cosa che gli interessava era che 003 non soffrisse. Se lei desiderava Joe, Joe doveva vivere a qualunque costo…e pazienza se lui l’avrebbe persa: qualunque prezzo era piccolo da pagare per la felicità di Francoise.
-Lei… tiene troppo a lui. Non starà ancora male per colpa dell’organizzazione. Riporterò 008 indietro a qualunque costo! –
- Certo. Da solo il successo è garantito! – commentò Jet.
- Non sono così sprovveduto: li conosco bene, a differenza vostra! -
- Si – disse Hilda, pentita per il suo atteggiamento di poco prima – ma anche loro ti conoscono bene e sanno quali sono i tuoi punti deboli. –
- A dire il vero, esiste una sola persona che mi conosce veramente bene…- la sua mente tornò agli occhi blu della bella francesina, divagando per un istante, poi tornò nel presente – comunque voi non sapete di cosa sono capace! –
- Io ne ho una vaga idea! – disse 004, ironica.
- E non hai visto niente! – ribattè 009, riprendendo quell’espressione beffarda vagamente inquietante che aveva molto tempo prima.
- Hai un piano? – domandò jet, piuttosto perplesso.
- Più che altro avevo un “canovaccio”, ma me ne avete suggerito uno voi adesso! Solo che, per una volta, vi chiedo di fidarvi completamente di me, anche quando vi darò motivo di dubitarne. Va bene? – i due annuirono.
- Bene. Allora metteremo su una piccola rappresentazione con finale a sorpresa! –

L’auto arrivò sul posto indicato, dove X12 con altri quattro cyborg e un piccolo esercito di androidi stava in attesa insieme a Joe, legato con dei nastri metallici che gli bloccavano braccia, gambe e caviglie. Bretagna scese dalla macchina, salutando come se niente fosse.
- Ciao, X12! Sei stato carino a convocare tutto il comitato di benvenuto! –
- Sapevo che saresti venuto a salvare il tuo amico! –
- Salvare il mio amico? No no no, mio caro! Temo che tu mi abbia frainteso: appena ho ricevuto il tuo gentile biglietto d’invito, ho pensato subito di portarti un regalino, giusto per chiarire ogni equivoco e appianare le nostre divergenze! – detto questo, aprì la portiera di dietro e trascinò fuori Hilda in malo modo, anche lei legata mani e piedi.
- Quindi vuoi dimostrarci che non sei passato col nemico? –
- A giudicare dalle apparenze…direi di no! Piuttosto sei tu a non sapere che per stanare i nemici bisogna conoscerli e…- gettò uno sguardo a Joe, che lo fissava carico di rabbia -…conquistarne la fiducia! Perché accontentarsi di ucciderne uno quando si possono massacrare tutti insieme? Ho bisogno di parlare con i capi: ora so dov’è il loro nascondiglio e, se ti va, andremo insieme a prenderli! – doveva per forza bluffare in quel modo: sapeva che altrimenti X12 non si sarebbe fatto sfuggire la ghiotta occasione di farlo fuori con la scusa del tradimento.
- 009!! Maledetto traditore!!! – urlò Joe carico di disperazione – Noi…Francoise… credeva in te!! –
- Ha fatto male. – disse lui freddamente.
- Ma guarda! – X12 si fece una risata - E io che pensavo ti fossi fatto conquistare da quella ragazzina bionda! –
- Non dire sciocchezze! Non ti nascondo che ci avevo fatto un pensiero, ma, a quanto pare, non ha occhi che per questo tipo! – X12 rise di nuovo.
- Non mi stupisce! Quindi…- aggiunse cambiando tono di voce e guardando Bretagna dritto in faccia, per capire bene se fidarsi di lui – se ti chiedo di uccidere 008 qui e adesso non dovrebbe essere un problema, per te! –
- Anzi! – rispose 009 mutando forma e trasformandosi in un grosso drago con la lunga coda e il viso agghiacciante con la bocca piena di denti aguzzi -… Mi fai un grande favore! – detto questo, afferrò Joe con una mano, stringendolo.
- 008, coraggio – disse con un ghigno mostruoso, conficcandogli quasi gli artigli nel petto – saluta i tuoi amici! – aveva parlato al plurale e, stranamente, lì c’era solo Hilda. Quello fu il segnale: Jet schizzò fuori da sotto l’automobile, straccò la debole catena che teneva insieme i polsi di Hilda ed entrambi furono sui nemici. X12 non fece neanche in tempo a sorprendersi, perché un colpo di coda del drago lo atterrò violentemente, facendogli quasi perdere i sensi. Con l’artiglio, Bretagna staccò le catene di Joe e riprese parzialmente la sua vera forma.
- Avrei fatto meglio a ucciderti subito! – disse X12, tentando invano di rialzarsi e di afferrare la sua pistola.
- Quando hai ragione hai ragione! – disse 009 conficcandogli l’artiglio nel petto. X12 gli morì tra le mani in pochi minuti. Bretagna estrasse l’artiglio, che, tornato nuovamente la sua mano, grondava sangue e cavetti elettrici. Ne provò una sensazione di dolore e disgusto: “l’anestesia” che non gli faceva provare nessuna pietà era ormai finita. Gli sfuggirono delle lacrime, che badò di asciugare immediatamente. – Tu sei l’ultimo: non farò mai più una cosa del genere! -
Intanto 002 e 004 stavano finendo con Joe di sbaragliare quel piccolo esercito.
Jet e Hilda erano sincronizzatissimi: sembravano muoversi come se fossero collegati a un unico cervello: lui catturava l’attenzione del nemico fungendo da bersaglio mobile e lo portava perfettamente a tiro di lei, che riusciva a eliminarlo in un colpo solo. Tolto di mezzo l’ultimo obiettivo, Jet scese a terra vicino a lei.
- Tutto a posto? –
- Direi di sì. – Hilda gli spostò istintivamente una ciocca di capelli che gli era caduta sull’occhio. Lui la fissò meravigliato. Stava quasi per avvicinare di nuovo le labbra a quelle della ragazza, ma qualcosa lo trattenne, qualcosa come…l’istinto del cacciatore che comunica al cervello qual è il momento migliore per catturare la preda. Il ragazzo sorrise a se stesso per l’utilizzo di una simile strategia e questa volta fu Hilda a rimanere perplessa, come se una parte di lei si aspettasse che lui osasse, mentre l’altra stava lì pronta ad allontanarlo!
- Pensavo – disse il ragazzo con un tono scherzoso – che, infondo, io ho fatto il primo passo e, quando una persona fa il primo passo, l’altra deve fare il secondo…- Hilda rise divertita, “incassando” il colpo.
- E poi? –
- …e poi la persona che ha fatto il primo passo fa il terzo e l’altra persona il quarto, e così va a finire che si cammina insieme! – la ragazza sorrise, divertita e complice al tempo stesso e, insieme a Bretagna, raggiunsero Joe, che aveva, nonostante lo shock, fatto anche lui la sua parte contro i nemici.
Bretagna, dopo quello che aveva provato nell’uccidere X12, aveva cercato di riprendere il controllo e riuscì anche rivolgersi a Joe (che lo fissava basito) con fare ironico:
- Coraggio, 008, saluta i tuoi amici! – il ragazzo, ancora scioccato, li salutò davvero.
- Avanti! – disse Jet – torniamo a casa! –
- Ha proprio un bel suono, la parola “casa”, ci avevate mai badato? – disse 009.
Jet e Hilda salirono insieme in moto (il ragazzo era impaziente di riprendersi le chiavi!), mentre Joe salì in auto con Bretagna. Erano quasi a metà strada, quando 008, schiaritesi le idee, riuscì a parlare.
- Potresti darmi una spiegazione razionale a tutto questo? –
- Certo: sono pazzo! Tu, piuttosto: come diavolo hai fatto a farti catturare? –
- Sono stato uno sciocco. Ero in treno e avevo accanto a me una ragazzina con un caschetto biondo, accompagnata da un uomo con gli occhiali: persone normalissime…-
- Mmm…X2 e X4: danno quell’impressione…-
- Quindi li conosci? –
- Erano…”colleghi”! Che ti hanno fatto? –
- Bè, logicamente avevo la guardia abbassata e, a un certo punto, lei mi ha piantato una siringa nella gamba…non so che fosse, ma ho perso conoscenza in una frazione di secondo! –
- Ho capito. E’ una sostanza che hanno testato da poco per ottenere un effetto immediato sugli organismi cibernetici: complimenti, hai sperimentato un nuovissimo prodotto chimico! –
- Già…! – sbuffò Joe. Stettero un poco in silenzio, poi Joe parlò di nuovo.
- Dimmi una cosa: tutto quello che hai detto faceva parte della commedia? –
- Mmm…quasi tutto, come ad esempio la parte dello stanare i nemici e bla bla bla e quella che volevo ucciderti! Sono bravo in queste cose, sai? Pensa che una volta mi scrivevo anche i testi da solo! – stette zitto un momento, poi riprese, cambiando discorso:
- Forse ho perso l’abitudine a conquistarmi le cose, soprattutto la fiducia. Ma non posso darti torto: non posso pretendere che gli altri si fidino di me quando io non mi fido di loro…- era vero: stava sul serio ridiventando “umano”; e gli stava facendo meno male di prima – d’altro canto sono qui solo perché ve lo ha chiesto Francoise…ah, già, anche perché era meglio controllarmi da vicino che sapermi chissà dove! –
Joe sospirò e cercò di trovare le parole giuste.
– Si, è vero, ma le cose cambiano. Adesso sono io a volere che tu resti, e non per far contenta Francoise o per controllarti. Semplicemente so che sei uno dei nostri e non potresti avere un’altra famiglia se non questa! – le parole di Joe ebbero un effetto quasi “magico”: sembrò che, con il loro peso, avessero dato un’ultima picconata alla lastra di ghiaccio che lo teneva in stato di apnea e, di colpo, gli parve di ricominciare a respirare e di sentire nuovamente il sangue scorrere e il cuore battere. Si chiese per l’ultima volta dov’era stato tutto quel tempo e capì che non aveva importanza: si poteva ricominciare tutto da capo.

Appena si aprì la porta di casa tutti furono loro intorno, incluso Peter.
- Finalmente siete tornati! – disse.
- “Tornati”? – fece Bretagna – Sei tu “l’uccellino” che ha spifferato tutto!-
- Nessuno mi aveva detto di non farlo!- sorrise Peter dandogli una pacca sul braccio.
Francoise abbracciò Joe forte: aveva davvero temuto di perderlo e ora lo stringeva piangendo di gioia.
“Bene così.” pensò Bretagna “Era scritto nel copione!”
La sera, mentre cenavano tutti insieme, aiutò la ragazza a portare i piatti in cucina.
- Non ti ho ancora ringraziato a sufficienza. – disse lei, appoggiando la pila sulla lavastoviglie.
- Non c’è di che, per quattro piatti! –
- Non mi riferisco a quelli. Parlo di ciò che hai fatto oggi. Anche se…sei stato completamente folle! – Bretagna ridacchiò divertito.
- Parli di Joe? Figurati, non devi dirmi nulla. Voglio solo che tu sia felice con lui.- disse quest’ultima frase con poca convinzione. La ragazza lo guardò perplessa, scuotendo la testa.
- Bretagna, io voglio un gran bene a Joe, ma credo che tu abbia equivocato…-
- Ehm…in che senso?-
- Nel senso che…io amo Joe perché mi ricorda tantissimo mio fratello Jean. Sono entrambi protettivi, dolci e determinati al tempo stesso. Però…gli voglio bene come a un fratello! –
- Un… fratello… non incestuoso? – Francoise gli diede una spinta alla spalla, imbarazzata.
- Cosa vai a pensare?? –
- Niente, solo che…a questo punto non so più qual è il tuo tipo! –
- Mmm…non saprei. Forse più simile al tuo alter ego! – detto questo si allontanò lasciandolo basito.
- Le piace quell’idiota uguale a me?!? –
- Allora, venite? – Pumna li chiamò dal soggiorno – Quanto ci mettete a poggiare quella roba?-
Chang era armato di coltello vicino a un vassoio:
- Ho preparato una ciambella! E’ il primo dolce che cucino! – disse con soddisfazione.
- Quindi dobbiamo considerarci delle cavie! – rise Peter
- Non vorrei sembrarti pignolo, ma… è quadrata! – osservò Bretagna con malcelata ironia.
- Ho usato l’impasto della ciambella, quindi è una ciambella!! – puntualizzò l’altro, indispettito.
- Ah, vuoi dire che è una ciambella a livello interiore, ma che esteriormente non lo dà a vedere! Praticamente è un dolce “trans”!  - rispose Bretagna.
- Non lo sai che non tutte le ciambelle riescono col buco?? –
- Si, ma questa non le manca solo il buco: è quadrata!! – disse l’altro, facendo arrabbiare di più il cuoco improvvisato.
Geronimo prese il coltello e, con pochi gesti, diede una forma circolare al quadrato, tagliò il cerchio centrale e…se lo mangiò! Gli altri risero e ognuno ne tagliò un pezzo.
- E’ vero – disse Hilda, mangiando – è una ciambella: mai fidarsi delle apparenze! – e, dicendo questo, sorrise a Bretagna, che ricambiò di cuore, comprendendo finalmente cosa Jet ci vedesse di così speciale in lei.

L’hangar del “Dolphin” era deserto e silenzioso come al solito.
-Perché mi hai fatto venire qui? – chiese Bretagna scendendo la scaletta metallica con le mani in tasca.
Francoise uscì dalla penombra indossando un vestito verde leggerissimo. Bretagna restò un attimo meravigliato: non l’aveva mai vista in quel modo; poi sorrise facendo finta di niente.
- Sei  carina, così: sembri una fata irlandese! –
- Grazie. – rispose lei.
– Non pensi che sia poco prudente star qua sotto al buio da sola con un uomo? – disse, scherzando su una situazione che lo stava mettendo un poco a disagio.
– Mi fido di te! – sorrise angelica.
“Sono io che non mi fido di me!”
– Devo considerarlo un insulto o un complimento? – fece lui, senza avere risposta.
– Ti ho fatto venire qui perché una volta mi dicesti, parole testuali, “sono a tua disposizione per qualunque cosa”! –
- Si. Sono le classiche parole che possono portare un uomo alla rovina! – disse ridendo.
– Ma dai, lo sai che non hai niente da temere! Ti ho chiamato solo per una mia curiosità personale: sai ballare il tango? –
- Prima sapevo ballare praticamente qualunque cosa! Diciamo di sì. –
- Allora…balla questo con me! Ricominciamo da dove è iniziato tutto. – lui alzò un sopracciglio.
- C’è qualcosa che mi sfugge… ma va bene. –
- A dire il vero è una piccola cosa tra me e il tuo alter ego. -
- Quell’idiota…- cercò di iniziare con fatica il discorso.
- Ti stai riferendo a te stesso? – puntualizzò lei, ironica, mentre si faceva cingere la vita.
- Esatto. Insomma, come faceva a piacerti? L’ho visto dopo il combattimento, quando vi ho seguiti di nascosto…non aveva niente di speciale, nemmeno sapeva stare! –
- “Sapeva stare”?! Parli della postura in scena? Guarda che le persone mica recitano sempre, e poi…aveva molti aspetti. Cambiava più spesso quando non si trasformava! –
- D’accordo, sarà così, ma non hai risposto alla mia domanda. –
- Perché mi piaceva? Vediamo… mi sembrava di potergli parlare liberamente, era divertente ma anche molto sensibile, era un po’ impacciato ma…dolce…-
- E ti piaceva…sul serio? –
- Penso di no. Penso solo come un amico. –
“Proprio come immaginavo” pensò lui, senza sapere se sentirsi sollevato o  demoralizzato.
- …Non come te. -
- Co…come hai detto? –
La ragazza non rispose, ma gli mise un dito sulle labbra e continuò a ballare. Dopo due minuti, Bretagna dovette per forza aprire bocca.
- Senti…io credo che sto per fare una cosa molto stupida…-
Francoise sembrò leggergli nel pensiero, perché non chiese “che cosa?”, ma: “perché sarebbe stupida?”.
- Perché è sfrontata, irrispettosa e facendola rischio di perdere in un colpo solo tutto quello che ho conquistato in questi giorni, ma sento che se non la faccio qui e ora lo rimpiangerò per il resto della vita! – la ragazza lo guardò, un po’dubbiosa un po’ incuriosita, ma tranquilla.
- Allora, se è così, che aspetti? –
Lui le sollevò dolcemente il mento, come se stesse toccando la cosa più delicata e preziosa al mondo, e la baciò sulla bocca, prima pianissimo, poi più forte; non l’avrebbe più lasciata, ma aveva osato già troppo; se ne staccò piano e poi rimase in attesa di uno schiaffo che non arrivò. Si fece coraggio e la guardò negli occhi: non erano arrabbiati, ma più luminosi che mai.
- Pensavo che non ce l’avresti mai fatta! –
- S…sapevi quello che volevo fare?! –
- Mi sembrava di avertelo già detto: io ti guardo attraverso! – rispose Francoise, abbracciandolo forte e ricambiando quel bacio con uno decisamente più passionale!
Ora tutto era lontano anni luce: non esistevano più i Black Ghost, i giorni passati a lavare il sangue dalle mani e a guardare soffitti bianchi, le paure del passato e quelle del futuro; non esisteva quel posto e nemmeno quel piccolo esercito di “cognati acquisiti” al quale avrebbero dovuto dar conto quanto prima! Bastava davvero così poco? Bastava una cosa “piccola” come il bacio di qualcuno? Certe volte le cose succedono troppo in fretta, altre ci impiegano anni per arrivare, ma in fondo, quello che contava era che tutto, finalmente, in un modo o nell’altro, avesse ripreso il suo corso.
E la risposta era quella: bastava così poco.

 

© 05/08/ 2015

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